Era uno dei concerti più attesi dell’anno: il ritorno sulle scene italiane dei Police, dopo più di due
decenni: uno dei più grandi gruppi rock di sempre che suona le sue canzoni più famose, e il ritorno di Sting alle sue origini, dopo tanto peregrinare tra generi musicali. Il concerto è nel mezzo di un tour iniziato lo scorso maggio in Canada e la data italiana cade in un momento infelice: la giornata è climaticamente clemente, per fortuna. Ma ad ottobre gli stadi sono tutti occupati dal campionato, così si finisce al Delle Alpi, cattedrale nel deserto della periferia torinese, costruito per i mondiali di Italia ’90 e da un paio d’anni abbandonato a se stesso (Juve e Toro sono tornate al Comunale). I dati ufficiali danno il tutto esaurito, 65.000 persone. Ma la realtà è diversa: molta gente arriva con biglietti in più, comprati mesi fa per paura di rimanere fuori. Ma sono difficilissimi da vendere e anche i bagarini faticano a piazzare i loro. Insomma, alla fine si poteva entrare con pochi euro.Una volta dentro, il colpo d’occhio è impressionante: lo stadio è davvero enorme, e vista la costruzione (una larghissima pista d’atletica e anelli molto più distesi e meno ripidi di San Siro) chi sta in tribuna vede delle formiche sul palco, non degli uomini. Dopo un paio di supporter (La notte della Taranta,
a cui spesso ha partecipato Copeland, e i Fiction Plane del figlio di Sting, il cui timbro di voce è molto simile al padre), la band sale finalmente sul palco alle 9 e mezza passate, con un buon ritardo.Stewart Copeland suona un gong, e si accendono i megaschermi, che circondano la pedana. Partono le prime note di “Message in a bottle”, ed è un tripudio. Altra brutta sorpresa per chi sta in tribuna, però: la lontananza fa arrivare il suono fuori fase, e in certi momenti sembra davvero che il trio faccia fatica ad andare a tempo insieme. Chi sta sul prato, invece, ha un suono decisamente migliore. Dei tre, Andy Summers sembra il meno in forma, un po’ imbolsito. Sting è il consueto ritratto della salute, con maglietta nera attillata, Copeland è indemoniato dietro la batteria. La band inanella un successo dietro l’altro, infilando in scaletta (rigida, con pochissime variazioni e solo di posizione rispetto ad altre serate) anche brani apparentemente secondari come “Truth hits everybody”. Ogni canzone
ha una scenografia cromatica sui megaschermi, ma a colpire è la relativa freddezza del gruppo: Sting parla pochissimo, e in un italiano stentato. Tra di loro, i tre quasi non si guardano, e in più di un’occasione si ha la sensazione che stiano svolgendo un compitino: perlopiù tecnicamente perfetto, ma privo di pathos. A quello ci pensa il pubblico, soprattutto nell’ultima parte del concerto, la più suggestiva: spiccano una “Wrapped around your fingers” da brividi, con Copeland che tambureggia su ogni percussione possibile, “Can’t stand losing you” e ovviamente “Roxanne”, eseguita in uno stadio illuminato da una selva di inevitabili luci rosse.C’è ancora tempo per qualche bis (4 canzoni, tra cui ovviamente “Every breath you take”) e una chiusura al fulmicotone con “Next to you”. C’è tempo anche per i bilanci: una serata dove bisognava esserci, ma tutt’altro che memorabile. I Police sono e rimangono grandissimi, ma il fuoco del rock brucia da altre parti.



Nessun commento:
Posta un commento